Giordano Bruno, perché vorrei fargli i complimenti.
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Se hai mai lavorato in un ufficio, probabilmente hai avuto il dubbio che i tuoi colleghi fossero dotati di un talento particolare: parlare dietro alle persone. In questo articolo, esploreremo le sottili sfumature del colleghismo tossico, esponendo alcune problematiche comuni che possono emergere in un ambiente lavorativo.
- Gossip di Corridoio: Il Teatro delle Ombre
Nel mondo dell’ufficio, i corridoi spesso diventano palcoscenici per drammi sotterranei. Colleghi tossici prosperano nel diffondere pettegolezzi e chiacchiere di corridoio, alimentando un circolo vizioso di indiscrezioni che può minare la fiducia e l’armonia nel team. - Falsità in Agguato: Quando la Sincerità è un Lusso Raro
I colleghi falsi possono essere maestri nell’arte dell’ipocrisia. Dal sorriso falso alle lodi insincere, navigare in un mare di falsità può rendere l’ambiente lavorativo stressante e, a volte, persino alienante. - Rapporti Intimi con il Capo: Quando l’Etica Professionale Vacilla
Alcuni colleghi potrebbero approfittare dei rapporti più stretti con il capo, creando tensioni e discordie nel team. La mancanza di trasparenza può minare la morale e la coesione, creando un divario tra chi è nell’”inner circle” e chi non lo è. - Competizione Nascosta: La Corsa al Successo Individuale
In un ambiente lavorativo competitivo, alcuni colleghi potrebbero vedere i propri compagni come ostacoli piuttosto che alleati. La competizione nascosta può portare a sabotaggi sottili e gelosie, compromettendo il raggiungimento degli obiettivi comuni. - Sfide Comunicative: Quando il Dialogo è un Lusso Raro
La mancanza di comunicazione aperta e onesta può amplificare le tensioni. Colleghi che evitano il confronto diretto e preferiscono il silenzio o le parole indirette creano un terreno fertile per incomprensioni e risentimenti.
Mentre affronti queste sfide quotidiane, ricorda che la consapevolezza è la prima difesa contro il colleghismo tossico. Sviluppare una cultura di rispetto, comunicazione aperta e cooperazione può contribuire a creare un ambiente lavorativo più sano e produttivo.
Navigare attraverso le complessità delle dinamiche del team può essere impegnativo, ma affrontare queste problematiche di petto può portare a un ambiente lavorativo più armonioso e gratificante per tutti.
- Gossip di Corridoio: Il Teatro delle Ombre
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Negli ultimi decenni, il fenomeno dell’anti-americanismo è diventato sempre più evidente in molte parti del mondo. Questo sentimento, che può variare da una semplice critica agli Stati Uniti a una vera e propria ostilità, è stato oggetto di dibattito e discussione in tutto il mondo. Ma quali sono le motivazioni alla base di questo fenomeno? Per comprendere meglio l’anti-americanismo, è importante esaminare le sue radici e le diverse ragioni che lo alimentano.
*Le Radici Storiche dell’Anti-Americanismo*
L’anti-americanismo ha radici storiche profonde che risalgono all’epoca coloniale. Molti paesi hanno sperimentato l’imperialismo statunitense, con interventi militari e politiche estere spesso percepite come un’ingerenza negativa negli affari interni di altre nazioni. L’America Latina, ad esempio, ha una lunga storia di ostilità nei confronti degli Stati Uniti a causa dell’interventismo e del sostegno a regimi autoritari nella regione.
Inoltre, l’ascesa degli Stati Uniti come superpotenza mondiale dopo la Seconda Guerra Mondiale ha portato ad una diffusa percezione di egemonia americana. Questo ha alimentato il sospetto che gli Stati Uniti cercassero di dominare il mondo a spese di altre nazioni, il che ha contribuito a rafforzare il sentimento anti-americano.
*Motivazioni Economiche ed Egeo-Culturali*
Molte delle motivazioni alla base dell’anti-americanismo sono legate a questioni economiche e culturali. L’espansione del capitalismo e del consumismo americani ha portato a una diffusione della cultura popolare americana, che ha influenzato i costumi e i valori in molte parti del mondo. Questo ha suscitato timori di omologazione culturale e ha alimentato l’antipatia nei confronti degli Stati Uniti.
Le politiche economiche statunitensi, spesso orientate verso l’apertura dei mercati e il libero scambio, sono state accusate di danneggiare le economie locali in molte regioni, provocando tensioni economiche che hanno contribuito all’anti-americanismo.
*Le Politiche Esterne e la Guerra al Terrore*
Le politiche estere degli Stati Uniti, in particolare la Guerra al Terrore, hanno suscitato forti reazioni negative in molte parti del mondo. L’invasione dell’Iraq nel 2003 e l’uso di droni nelle operazioni militari hanno alimentato la percezione di un approccio bellicoso e unilaterale da parte degli Stati Uniti. Questi eventi hanno contribuito notevolmente all’anti-americanismo globale.
*Conclusioni*
L’anti-americanismo è un fenomeno complesso e multifattoriale, con radici storiche profonde e motivazioni variegate. Non tutti gli atteggiamenti critici verso gli Stati Uniti sono necessariamente negativi; spesso sono una risposta alle politiche e alle azioni specifiche del governo americano. Tuttavia, è importante distinguere tra una critica legittima e un pregiudizio generale contro il popolo americano.
Questa è la mia versione più obbiettiva possibile, a riguardo delle Pratiche perpetrate dalla famigerata “Mamma America”.
Ovviamente, pratiche Coloniali in versione 2.0 sono tutt’altro che concepite e sostenute dallo scrivente, l’esportazione di democrazia tanto decantata dall’America è una continua caccia al profitto ed al potere.
Come si può simpatizzare con Governi e Mentalità Simili?
Il Ribelle Conformista.
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Cari lettori di Ribelle Conformista,
Oggi vogliamo affrontare un argomento di grande risonanza storica e sociale: la questione delle menzogne che coinvolge la storia della Chiesa Cattolica. Attraverso i secoli, la Chiesa ha giocato un ruolo centrale nella storia del mondo, ma come spesso accade, il potere può dare luogo a segreti e distorsioni. In questo articolo, esploreremo alcune di queste ombre del passato.
1. Le Crociate: Guerre di Religione o Conquiste di Potere?
Le Crociate sono spesso state presentate come guerre sante per difendere la fede cristiana, ma la realtà è molto più complessa. Alcuni studiosi suggeriscono che le Crociate fossero in realtà mosse dalla sete di potere, ricchezza e territorio, travestite da una “missione divina”. La ricerca storica ci ha insegnato che dietro alle Crociate si nascondevano molteplici motivazioni, spesso molto terrene.
2. La censura dei testi antichi
La Chiesa Cattolica ha svolto un ruolo importante nella conservazione di testi antichi, ma ha anche censurato o distrutto documenti che non si adattavano alla sua narrazione. Questa pratica di “pulizia” della storia ha influenzato la nostra comprensione del passato e ha lasciato molte domande senza risposta.
3. L’Inquisizione: Giustizia o Repressione?
L’Inquisizione è un altro aspetto controverso della storia della Chiesa Cattolica. Mentre la Chiesa sostenne che fosse necessaria per sradicare l’eresia, molti vedono questo periodo come un’epoca di repressione, tortura e persecuzioni. La verità è che l’Inquisizione può essere vista da diverse prospettive, ma rimane un capitolo oscuro nella storia religiosa.
4. Scandali e abusi
Nel corso dei secoli, la Chiesa Cattolica è stata scossa da numerosi scandali e accuse di abusi, dal caso Galileo alla più recente crisi degli abusi sessuali. Questi eventi hanno sollevato domande sulla moralità e l’integrità della Chiesa, sfidando la sua autorità e credibilità.
Alla Ricerca della Verità
È importante sottolineare che questi aspetti controversi non rappresentano l’intera storia della Chiesa Cattolica, che ha anche avuto un impatto positivo sulla società e sulla cultura. Tuttavia, è fondamentale affrontare apertamente le ombre del passato e cercare la verità storica.
In conclusione, esplorare la storia della Chiesa Cattolica significa affrontare sia le sue glorie che le sue ombre. La verità è spesso complessa e sfaccettata, ed è essenziale che dobbiamo comprendere appieno il passato per costruire un futuro migliore basato sulla verità e sulla giustizia. La storia è sempre in evoluzione, e la ricerca della verità è una parte fondamentale del nostro viaggio come individui pensanti.
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Alla Ricerca di Equilibrio in un’Epoca di Cambiamento
Cari lettori di Ribelle Conformista,
In un’epoca in cui il femminismo ha guadagnato forza e visibilità come mai prima d’ora, è importante affrontare un argomento delicato ma rilevante: il ruolo dell’uomo nelle relazioni di coppia e nella vita di tutti i giorni. Troppo spesso, l’uomo è relegato in secondo piano o considerato “dovuto” in termini di contributo e partecipazione. Ma oggi, esploriamo l’importanza di riconoscere e celebrare il suo ruolo nell’era moderna.
La Parità di Genere: Un Obiettivo Giusto
Prima di tutto, è fondamentale sottolineare che la lotta per la parità di genere è un obiettivo giusto e necessario. Nessun genere dovrebbe essere messo in una posizione di superiorità o inferiorità nelle relazioni o nella società. Il movimento femminista ha contribuito a far progredire notevolmente la causa dell’uguaglianza, e questo è un traguardo importante.
L’Uomo nella Relazione di Coppia: Un Partner Equo
Tuttavia, è altrettanto importante riconoscere che l’uomo ha un ruolo cruciale nelle relazioni di coppia. Troppo spesso, si presume che l’uomo debba essere automaticamente il fornitore finanziario o che debba adempiere a determinati compiti senza domande. In realtà, una relazione di successo è basata sulla parità, sulla comunicazione e sulla collaborazione.
L’uomo moderno non è semplicemente “dovuto” a svolgere un certo ruolo, ma è un partner equo che contribuisce alla relazione in modo significativo. Questo può essere attraverso la condivisione delle responsabilità domestiche, la partecipazione attiva nell’educazione dei figli o il supporto emotivo reciproco.
L’Equilibrio tra Uomo e Donna
La chiave per una relazione sana e appagante è trovare un equilibrio tra i ruoli di entrambi i partner. Ciascun individuo dovrebbe avere la libertà di stabilire i propri interessi e passioni, senza che ciò sia visto come una minaccia per la relazione. Inoltre, la comunicazione aperta e l’empatia reciproca sono fondamentali per risolvere le sfide che possono sorgere.
Conclusione
In conclusione, mentre il femminismo continua a guidare importanti cambiamenti nella società, è fondamentale non perdere di vista l’equilibrio nelle relazioni di coppia. L’uomo moderno non è semplicemente “dovuto” a svolgere determinati ruoli, ma è un partner equo e prezioso. La vera parità di genere si realizza quando ognuno può essere se stesso, contribuendo in modo autentico alla relazione. In questo modo, possiamo costruire relazioni forti, basate sulla comprensione reciproca e sulla collaborazione.
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Tratto da ” The Vision” di Giulia di Bella
In un Paese in cui il senso di precarietà ha perso il suo carattere transitorio ed è diventato l’unica certezza, soprattutto per le fasce più giovani della popolazione, assistiamo al proliferare di coach, motivatori e sedicenti guru del “pensiero positivo”, che vorrebbero persuaderci che la realizzazione e l’appagamento personali dipendano esclusivamente dalla nostra volontà e tenacia. Insomma, vogliono convincerci che “Volere è potere”, e che tutto ciò che desideriamo sia alla nostra portata: basta solo impegnarsi. Una retorica pericolosa e fuorviante, che ci impedisce di riconoscere i nostri limiti e di comprendere che possiamo controllare solo una piccola parte della nostra vita. Prima o dopo, tutti dobbiamo fare i conti con l’imponderabilità di eventi che cambiano i nostri piani, costringendoci a pesanti rinunce e lasciandoci addosso un senso di fallimento. E quando falliamo, c’è sempre qualcuno che ci invita a non abbatterci, ad andare avanti a testa bassa verso i nostri obiettivi perché, se ce la mettiamo tutta, prima o poi riusciremo a farcela. Ma la realtà è ben diversa e la retorica del volere è potere, spesso, serve solo ad aumentare la percezione del fallimento e il nostro senso di inadeguatezza.
La nostra epoca è segnata dal bisogno di andare oltre i limiti che la natura umana ci impone, sempre e in qualunque campo. I progressi della scienza e la rivoluzione tecnologica ci permettono di fare, sempre più facilmente, una serie di cose che diamo ormai per scontate, ma che pochi anni fa sarebbero state impensabili per un essere umano. In qualsiasi parte del mondo ci troviamo, possiamo avere continui contatti con i nostri cari, riducendo al massimo la percezione della distanza. Abbiamo costantemente accesso a milioni di informazioni attraverso lo smartphone, ma soprattutto possiamo avere uno spazio social dove condividere contenuti e idee con migliaia di persone. Sul web possiamo essere chiunque, indossare maschere, applicare filtri a qualunque foto, addirittura crearci una vita parallela senza essere scoperti. Ma non è solo il digitale a convincerci di essere onnipotenti, perché la retorica del “volere è potere” si annida anche altrove.
Se siamo insoddisfatti del nostro aspetto, grazie alla chirurgia estetica possiamo modificare i nostri tratti somatici e “comprare” il viso e il corpo che vorremmo, e che per natura non ci è stato dato. Se ci invaghiamo di qualcuno che non ci corrisponde, arriva in nostro soccorso l’esperto di seduzione da migliaia di followers, pronto a suggerirci “le dieci regole che la (o lo) faranno innamorare immediatamente di noi”. Veniamo inoltre bombardati da messaggi e slogan che, sfruttando la retorica del self-made man, ci convincono che il nostro futuro e realizzazione personale dipendono esclusivamente dall’impegno che mettiamo nello studio, nel lavoro e nella costruzione di una carriera brillante. Persuasi da questa narrazione ingannevole, dimentichiamo che tutti dobbiamo fare i conti con la finitezza delle nostre possibilità e che la vita ci espone quotidianamente a cambiamenti improvvisi. Oltretutto, questa retorica non sembra considerare che le condizioni socio-economiche, culturali e ambientali in cui cresciamo determinano la gran parte del nostro futuro e che per rapportarci serenamente al nostro presente dobbiamo accettare che non tutti nasciamo con le stesse possibilità.
Paul Farmer, antropologo e medico statunitense scomparso pochi mesi fa, ha studiato il fenomeno della “violenza strutturale” – coniato dal sociologo norvegese Johan Galtung – per spiegare la teoria delle disuguaglianze sociali all’interno di uno stesso contesto, confutando la retorica che ci vorrebbe unici artefici della costruzione del nostro futuro. Dopo aver vissuto e lavorato a lungo nell’Haiti rurale, Farmer appurò che l’estrema opulenza e la miseria più abietta, spesso, coesistono all’interno del medesimo sistema politico ed economico. Secondo l’antropologo – che ne ha scritto nei suoi saggi Infections and Inequalities, uscito nel 1999, e Pathologies of Power, pubblicato nel 2003 – questa condizione si è tanto radicata da essere una diventata una struttura del mondo: se alcuni contesti accolgono le condizioni per una vita agiata, al riparo dall’insicurezza, dalla violenza e dalle scarse condizioni igieniche, altri sono ricettacolo di povertà, malattie e pericoli per l’incolumità dell’essere umano.
Secondo Farmer, la disuguaglianza di potere, ricchezze e privilegi non è data naturalmente, ma è il prodotto di secoli di lotte economiche, politiche e sociali. Chi nasce in un contesto di arretratezza economica e culturale, e di marginalità sociale, dovrà faticare enormemente per raggiungere le condizioni di benessere minime, e ciononostante potrebbe non avere mai accesso a determinati privilegi. Ciò non ha nulla a che fare con la volontà e la tenacia individuali, ma con delle strutture sociali consolidate e difficili da sradicare. Alcune categorie umane – tra cui Farmer cita le donne, gli omosessuali e gli appartenenti a determinate etnie – sono storicamente più esposte a forme di violenza e di discriminazione, maggiormente soggette a malattie, e devono faticare molto più degli altri per ottenere i diritti sociali e civili.
Il concetto di violenza strutturale dovrebbe darci la misura di quanto la nostra realizzazione non dipenda solo dal nostro impegno. Questo non significa essere lassisti, se le condizioni in cui nasciamo non sono favorevoli, ma evitare di colpevolizzarci laddove falliamo in qualcosa. Parole come resilienza e perseveranza, con la loro intrinseca positività, possono diventare dannose se ci impediscono di accettare i nostri limiti e di accogliere stati d’animo naturali come la stanchezza e l’abbattimento. Oltre a valutare le circostanze in cui nasciamo, è giusto tenere sempre presente che le nostre azioni sono frutto anche dell’attività inconscia; vivere ripetendoci che dovremmo andare a testa bassa verso in nostri obiettivi, può scontrarsi con nostre esigenze autentiche che ci sfuggono. I nostri obiettivi possono infatti derivare non da un desiderio profondo, ma da bisogni eteronomici e tappe uguali per tutti imposte dalla società.
Ripeterci che “volere è potere” aumenta la nostra mania del controllo e ci rende rigidi e impreparati di fronte agli eventi talvolta traumatici che ci capitano, dal lutto a un fallimento professionale, fino alle conseguenze di una pandemia. Spesso non consideriamo che la realtà intorno a noi si modifica, ci mette degli ostacoli sul cammino, e che impegno e tenacia non sono sufficienti per realizzare le nostre ambizioni. Fare del nostro meglio è sì importante, ma non significa procedere come muli e lasciarci spremere da meccanismi sociali che ci vogliono incrollabili. Significa accettare che non possiamo controllare tutto, che spesso siamo stanchi e perdiamo la fiducia e che in quei momenti non dovremmo permettere a nessuno – soprattutto a noi stessi – di colpevolizzarci o svilirci. Rischiamo di precipitare sempre di più in un abisso che ci vuole performanti, di successo, incapaci di riconoscere i nostri limiti e di accettare che a volte ci sentiamo stanchi e demotivati. E che va bene così. Alimentare la retorica secondo cui se non riusciamo è perché non lo abbiamo voluto abbastanza, perché non ci siamo impegnati come avremmo dovuto, ci induce a svalutarci e a pretendere troppo da noi stessi, riducendo la nostra autostima e rischiando stress psicologico e burnout. Col risultato che iniziamo a pretendere troppo anche dagli altri.
Se assecondiamo la retorica del successo a tutti i costi, finiamo per disistimare a prescindere chi, spesso per situazioni contingenti, non ha raggiunto una posizione professionale o sociale di prestigio. Ma questo è dannoso, perché tutti abbiamo bisogno della stima degli altri, indipendentemente dal fatto che riusciamo o falliamo. Come dimostrano alcuni studi del 2021, condotti da un gruppo di ricercatori guidato dall’esperto di leadership e dinamiche sociali Cameron Anderson, il riconoscimento sociale contribuisce in larga misura al nostro benessere, e non essere stimati può acuire depressione e infelicità. Per aumentare il benessere individuale e collettivo, dunque, è necessario ridimensionare il modello della persona che ottiene il successo con la sola caparbietà e smetterla di ammirare soltanto chi ha raggiunto determinati obiettivi. Dobbiamo essere sempre consapevoli che, nella maggior parte dei casi, la nostra realizzazione non dipende da noi, ma da circostanze predeterminate che non possiamo in alcun modo controllare né modificare. E che se facciamo del nostro meglio e falliamo, siamo lo stesso meritevoli della nostra stima e di quella degli altri.
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Ogni riferimento a cose e persone è puramente casuale, i personaggi descritti sono esclusivamente frutto della fantasia dell’autore.
20anni ti viene difficile immaginarti “un uomo fatto e finito”.
Ti viene difficile immaginarti come il 90% degli uomini che vedi ogni giorno nella tua vita quotidiana, a casa , al bar, in giro per strada.
Uomini che escono la mattina da casa e tornano alla sera, passando la giornata nel posto di lavoro(che spesso si odia), per poi concedersi quel paio di birre al bar dopo le 17,30, dove vomitare i dispiaceri della propria vita in concerto con altri “amici” che vomitano sentenze e problemi proprio come te.
Molti con famiglia e pargoli , che si lamentano del tempo rubato dai loro figli (voluti da loro, non da altri) , ridendo e sparlando delle rotture di “coglioni” subite dalle proprie mogli/compagne (anche queste scelte da loro).
Costretti in un circuito senza uscita, un cerchio di abitudine continua che gli permette di fare le solite cose , sempre e comunque.
Poi, un quel lasso di “libertà” che riescono a ricavarsi, compiono le massime efferatezze verso se stessi e le proprie famiglie.
Quali altri esempi abbiamo avuto fin da bambini? Nessuno.
O la finta famiglia felice stile Mulino Bianco (99% delle volte, costruita e non corrispondente alla realtà)
O la famiglia sfatta giù, problemi economici, lavorativi, problemi di dipendenze.
Ma perché accade tutto questo?
Credo , esclusivamente perché non ci è mai stata mostrata un’altra via, che non sia quella del “ CRESCI, STUDIA, LAVORA, SPOSATI E PROCREA”
e siamo spesso i primi ad abbassare il capo, o comunque, farci andare bene il male minore, la fatica minore, seguire il Clichè , lo stereotipo dell’italiano medio, che studia, fa un lavoro del cazzo per farsi dare un mutuo di una casa di proprietà che toglierà gran parte dei guadagni mensili, sulla quale pagherai tasse anche se di fatto non è ancora tua, poi ti sposi e metti al mondo almeno due figli che succhieranno le tue restanti risorse finanziare ed energetiche, perché “ è giusto così”, i tuoi hanno fatto così, i nonni pure, non badare al fatto che c’è buona probabilità che i tuoi genitori ora come ora siano affetti da problematiche come l’alcolismo, l’obesità, e dipendenze di vario tipo, questo non conta, tu non diventerai così. Credici.
Stressati dalla vita che Abbiamo scelto di vivere, lamentandoci della vita che abbiamo scelto di vivere.
Ritrovandosi a pensare a quella volta in cui hai fatto “fogone da scuola “ come l’ultimo dei tuoi “grandi colpi di testa”.
Vabbè dai, si scherza eh?
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Da fuori non si vede, ma dentro è più che reale. Continuare ad andare avanti, giorno dopo giorno, ma sentirsi sempre stanchi e senza energie. È la “depressione ad alto funzionamento”: quando si è in grado di “funzionare” nella propria vita, ma non di essere felici.
Nicola si alza ogni mattina per andare al lavoro. Le cose da fare sono sempre tante, ma tutti sanno che Nicola è una gran lavoratore e non si lamenta mai. Il capo lo loda sempre per l’impegno e la puntualità. Cerca sempre di mettere su un bel sorriso quando è necessario interagire con i suoi colleghi, ma spesso preferisce passare la pausa caffè alla sua scrivania. Spesso viene invitato a unirsi a loro per un aperitivo dopo il lavoro, ma ha sempre qualche scusa pronta e credibile per declinare l’invito.
Ogni giorno Nicola torna a casa, stanchissimo, mette degli abiti comodi e si toglie la maschera. Accende la TV, il canale non è importante, si raggomitola sul divano e si perde nelle vite degli altri. Ogni tanto arriva un messaggio su WhatsApp, spesso amici che gli chiedono di uscire e Nicola declina con gentilezza, e se qualcuno gli chiede come va, la risposta è sempre: «Bene, grazie».
La serata passa così, con lo sguardo nel vuoto e la sensazione che le cose così proprio non vanno. Domani sarà un altro giorno, ma già pensa alla fatica che farà per alzarsi dopo l’ennesima notte passata a rigirarsi. Pensa alle mille piccole commissioni che dovrà fare al lavoro, e a quanta energia gli richiedono. Energia che Nicola sente di non avere più. Sa che dovrà indossare di nuovo la maschera, perché è importante che gli altri non si accorgano di quanto è triste e vuota la vita di Nicola.
Depressione o non depressione?
Quando parliamo di depressione, potremmo immaginare una persona raggomitolata su sé stessa nel letto, nel buio della sua indicibile sofferenza. In effetti, è un’immagine molto appropriata per definire la “classica” depressione. Chi è depresso tende a isolarsi, a galleggiare in stati di estrema tristezza e manca di energie e di voglia per svolgere attività relativamente semplici, come alzarsi dal letto la mattina.
Nicola però riesce ad alzarsi dal letto. E va a lavorare, ogni santo giorno. Anche se ogni piccolo compito è estenuante come scalare una montagna. Tende a evitare il contatto con gli altri, ma se è costretto a interagire riesce a farlo, anche se con gran fatica. Ma dentro di sé c’è un turbinio di pensieri che raccontano di come sia triste e scialba la sua vita, con nessuna prospettiva per il futuro, nessuna voglia di andare avanti. Fa quello che deve fare per tirare avanti giorno dopo giorno.
Gli altri non lo sanno, non lo immaginano nemmeno, ma Nicola è la classica persona che potrebbe essere definita come “depressa ad alto funzionamento”.
Depressione ad alto funzionamento
Ufficialmente non esiste una diagnosi di questo tipo. Per i manuali diagnostici o si rispettano i criteri per un disturbo oppure non lo si ha o questo non esiste
La differenza fondamentale tra la depressione maggiore e una depressione ad alto funzionamento, al netto dei criteri diagnostici, è che chi soffre di quest’ultima sembra vivere una vita apparentemente normale. Cioè, è in grado di funzionare.
Una persona con una depressione conclamata spesso non è nemmeno in grado di alzarsi dal letto, figuriamoci andare al lavoro o prendersi cura di sé. Quando si è alle prese con una depressione ad alto funzionamento, invece, queste attività vengono sì svolte quotidianamente, ma richiedono un’energia e uno sforzo difficili da immaginare. Insomma, la persona riesce a mantenere una vita più o meno attiva, ma ogni attività è improntata alla semplice sopravvivenza.
Quello che gli altri non vedono
Dall’esterno tutto questo non si vede e nessuno sospetta niente, perché non c’è motivo di considerare Nicola una persona depressa. È in grado di interagire con le persone, anche se la natura dei discorsi è sempre piuttosto superficiale e ha sempre una buona scusa per declinare degli inviti, ma la realtà è ben diversa. Le interazioni sociali non sono altro che l’ennesimo compito da svolgere, non un piacere.
Nicola sembra funzionare come chiunque altro, ma diventa ogni giorno più faticoso. Non ha più energie, spesso è stanco e la spiegazione che dà agli altri è un ritornello su come il lavoro ultimamente sia molto stressante.
Solo lui sa cosa significa tornare a casa tutti i giorni e finalmente lasciarsi andare alla tristezza. Togliere la maschera e tirare i remi in barca. E contemplare la propria stanchezza, la mancanza di forza e di stimoli per alzarsi da quel divano, l’assenza di una prospettiva. Certo, in teoria sarebbe bello uscire per strada e parlare con la gente, ma a che pro? Nulla cambia, il dado è tratto: il domani sarà soltanto l’ennesimo oggi.
Vivere, non funzionare
Nicola fa quello che deve fare andare avanti, ma è un semplice “tirare a campare”. Non ha sogni, non ha obiettivi, non ha speranze. Il futuro è indefinito, tutt’al più è una grigia fotocopia di quello che è stato ieri e oggi. Andare avanti, senza una meta, solo per inerzia.
Ma vivere è molto, molto di più. Significa essere nel presente e apprezzare quanto di buono c’è in ogni giorno, godere dei momenti di felicità ma anche cercarli attivamente, facendo ciò che ci piace e con le persone che ci fanno stare bene. Vivere è anche guardare avanti e sperare in un domani migliore. Porsi degli obiettivi e andare dritti, con fiducia e risolutezza, in direzione del loro raggiungimento.
Questo forse è ciò che manca a Nicola. Riscoprire le piccole gioie quotidiane che esistono già ma che non riesce più a vedere: l’aroma del caffè che risveglia i sensi quando al mattino gli occhi sono ancora mezzi chiusi, il profumo dei fiori quando passa davanti al fioraio, la soddisfazione di un lavoro fatto bene, l’abbraccio di un amico che è contento di vederti.
Riaprire il cassetto, da tempo chiuso con molteplici lucchetti, dove stanno a riposare i sogni: nient’altro che altri momenti belli che non sono qui, non sono ora, ma saranno, forse, un domani.
Giù la maschera
Quante persone, nella vita di tutti i giorni, lottano per andare avanti avvertendo un angoscioso senso di vuoto dentro di sé? Sono quelle stesse persone che leggono storie sulla depressione e non si riconoscono nell’immagine della persona raggomitolata nel letto, che si dicono: “Io non sono così, ma perché non riesco a essere felice?”.
Vivere è molto più che stamparsi in faccia un sorriso forzato per affrontare l’ennesima giornata che ci è stata concessa. Quanti di noi, però, considerano ogni giorno che passa come l’ennesima prova da superare? Quanti si chiedono cosa c’è di sbagliato in loro e temono la risposta più della domanda?
Andare avanti con indosso la maschera di chi sta bene non è però l’unico modo per cercare di affrontare la tristezza e l’incertezza che assediano la nostra vita. Condividere il proprio dolore con chi ci è accanto, chiedere aiuto a chi ci vuole bene o rivolgersi a un professionista possono fare la differenza tra il restare intrappolati in un indefinito grigiore e il rivedere la luce alla fine del tunnel.
So che non è facile, ma trova il coraggio di togliere la maschera. Perché nessuno deve soffrire in silenzio e affrontare, da solo, un dolore che appare più grande persino di sé stessi.
GiovanniSpinarelliDocet
Il Ribelle Conformista
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Può un genitore diventare il peggior nemico dei propri figli?
Purtroppo spesso mi capita di dover sentire o vedere situazioni che per quanto mi riguarda, vanno oltre ogni immaginario possibile.
Ma negli anni ho iniziato a stilare un elenco di queste cose che vedo e sento, scovando anche le conseguenze che derivano da comportamenti di merda di certi genitori.
Ci sono molti tipi di violenza in un certo tipo di genitori, ora provo ad elencarne alcune, quelle che più mi fanno incazzare.
La Violenza Fisica: cosa che non sto nemmeno a descrivere, si commenta da sola e quei genitori che la praticano verso i figli/mogli, sono semplicemente delle merde che meriterebbero di rimanere da sole, legate ad un palo in mezzo al deserto.
L’ Assenza: L’amore e l’attaccamento per i figli si dimostra con la presenza costante, a prescindere da tutto e da tutti, se non si ha tempo per essere presenti con i figli, meglio non farne.
La Violenza Psicologica: Questo è il nodo cardine delle problematiche che voglio descrivere, la più subdola ed infame delle violenze perché il genitore (quasi sempre il Padre) va ad instaurare un rapporto gerarchico INDISCUTIBILE all’interno della famiglia, soprattutto in quella fase in cui i bambini entrano nell’adolescenza.
Il Ragazzo o la ragazza, si basa su questo aspetto gerarchico e militaresco in cui è cresciuto, spesso coadiuvato da una forte incidenza di livello economico, cosi il “Padre” inizia a soggiogare il figlio/a nel tentativo di plasmarlo secondo un
copione predefinito; il figlio è una “proprietà” che deve rendere: dalla soddisfazione a scuola e negli studi, alla prosecuzione dell’attività di famiglia, al formarsi una famiglia di gradimento genitori (maternità per soddisfare il desiderio dei futuri nonni ecc.) fino al classico bastone della loro vecchiaia.
Così ogni tentativo di ribellione, il capo famiglia se ne esce con frasi del cazzo come “Io Sono Tuo Padre”, “Con Tutto Quello Che Ho Speso e Fatto Per Te” e altre miriadi di cazzate del genere, dimenticandosi che un figlio andrebbe fatto per Amore, senza chiedere nulla in cambio, altrimenti è una questione d’interesse.
Vedo genitori che sono sempre stati assenti, e lo sono tutt’ora, genitori che si buttano a capofitto nel lavoro accumulando ricchezze su ricchezze, con la stessa fottuta giustificazione di “Lo faccio per i miei figli”, quando l’unico motivo per cui lo fanno è per sé stessi, dimenticandosi completamente che i figli, prima dei soldi, vorrebbero essere amati e quantomeno rispettati.
Ci sono spesso e soprattutto nei casi che riporto io, condizionamenti religiosi (onora il padre e la madre) e sociali (la società si basa sulla famiglia) e queste due cose non hanno mai dato ai figli una grande possibilità di sfuggire alla pressione di genitori-padroni, gli stessi che tolgono la libertà per “il tuo bene”.
Purtroppo, quando scatta il plagio, diventa impossibile anche il distacco e il figlio resta segnato a vita, schiavo di quella famiglia che negli anni ha allentato la catena, ma non l’ha mai spezzata.
Si crea una specie di sindrome di Stoccolma (che immagino abbiate conosciuto guardando la Casa di Carta) dove il figlio cerca comunque di recuperare il rapporto, cerca di compiacere i genitori, di essere capito, di essere non riuscendo a staccarsi dalla necessità di sentirsi amato dal Padre Padrone.
Lo stesso padre padrone che, dopo una vita passata ad inculcare le proprie malsane e subdole idee, se ne esce con i soliti regali materiali, spesso economici, in cui il figlio succube ci ricade ogni volta.
Perché questa tipologia di figli, è succube al 100% della figura gerarchica di cui stiamo parlando, la ama e la odia allo stesso modo, soprattutto perché poi, questo figlio o figlia crescendo troverà il fidanzato, e se quel fidanzato dovesse comportarsi esattamente come si è comportato il loro Padre Padrone, sarebbe la fine…… sì per il fidanzato.
Poi probabilmente c’è una base di paura, in questo attaccamento morboso che i figli hanno per il loro “carnefice”, perché una sola parola o uno sguardo fatto male da quest’ultimo significa passare la giornata o le giornate con mille paranoie, pianti e nervosismi.
E purtroppo, questi figli, non sono sicuro riescano a venirne fuori da questa brutta situazione, perché l’attaccamento rimane, e seppur messi davanti all’evidenza, trovano la giustificazione, ma alla fine dei conti, non incolpo nemmeno più di tanto loro, perché questo atteggiamento gli è stato seminato fin da piccoli, è stato fatto germogliare e annaffiato per il corso della loro vita, e l’unico rimedio sarebbe un diserbante che vada ad eliminare ogni contatto con il soggetto “cattivo”.
Spero che questa situazione possa finire, spero di non dover più vedere e sentire insulti, sfregi, e mancanze di fiducia in questi ragazzi.
Non pretendo di cambiare le figure genitoriali, perché obbiettivamente non me ne frega un cazzo, se hanno una vita di merda, piena di fantasmi e problematiche che vogliono riversare sugli altri, sono stra cazzi loro.
Ma personalmente sono schifato, sono schifato dalla mancanza di fiducia, la mancanza di sostegno che danno ai loro figli, sono schifato dal loro modo di mentire spudoratamente anche a sé stessi, che si fingono puri d’animo, timorati di dio, quando dietro di loro hanno lasciato scie di adulteri, dissacrazioni famigliari, litigi ed egoismi meschini.
Perché sono Genitori Manipolatori ed in quanto tali non hanno nessun pregio, anche se l’immagine che mostrano in pubblico è apparentemente perfetta, di fatto però non lo sono e consapevolmente ed inconsapevolmente gettano sui figli tutte le loro frustrazioni e disagi, senza mai risparmiarli.
Sono bugiardi, etichettanti, infantili, fagocitanti, ma anche invidiosi, sono orchi travestiti da fate turchine e principi azzurri, “madri e padri” che prendono ai figli, invece di dare, e usano la prole per il proprio vantaggio e soddisfazione, quando non per sfogare rabbia, frustrazione e sadismo.
Se poi i figli sono più di uno, questi personaggi, mettono in competizione la propria prole, creando problematiche e divari che sembrano incolmabili una volta che i figli crescono e diventano grandi.
Più o meno velate preferenze, ho visto con i miei occhi anche “Preferenze” tutt’altro che velate, ma sparate dritte nei denti, pubblicamente.
Nessuno ammette volentieri di aver avuto un genitore manipolatore, perché ammettere è riconoscere tutto il dolore patito, le sofferenze e i dispiaceri che non si dimenticheranno mai, ma che per sopravvivere e mantenere un’apparenza serena devono essere sotterrati o nascosti dentro un armadio sempre chiuso.
Negare a se stessi porta solo una salvezza momentanea che è quella di non dover affrontare il discorso con gli estranei, ma non salva dalla realtà vissuta tutti i giorni ,per quello occorre un vero atto di forza e di coraggio ed affrontare la situazione per quella che è: avere avuto la sfortuna di avere dei pessimi genitori, che non si sono mai comportati da genitori, ma da egoisti, in competizioni con altri genitori, in competizione tra loro, ma tra un gioco e l’altro di società non si sono mai degnati di prendersi cura dei figli, di amarli come avrebbero dovuto e di trattarli come bambini come meritavano.
La consapevolezza, però, è la prima arma, il primo passo per salvarsi, curare le proprie ferite e vivere la propria vita perché senza una svolta decisa, un cambiamento importante, una scelta drastica, come quella di andarsene e rifarsi una vita finalmente da soli, non c’è risoluzione.
Le cose non cambiano solo perché le desideriamo, per ottenerle dobbiamo affrontarle e patire il dolore di una decisione forzata, di una scelta non voluta ma imposta dalla sopravvivenza, un passo che sembra una montagna ma solo quando non lo si affronta veramente, perché quella montagna giorno dopo giorno diventa un giardino dove ritrovare la serenità che non si è mai avuta.
I figli che non si sentono amati, finché non capiscono le reali dinamiche diventando adulti, non attribuiscono la mancanza di amore ai genitori ma a sé stessi, si sentono in colpa di avere fatto qualcosa che ha portato il genitore ad allontanarsi da loro e si sentiranno inadeguati e non amati e pur di ricevere amore un bambino arriva a negare le proprie emozioni, ad adeguarsi a tutti i tipi di richieste dei genitori, riducendosi a mendicare l’amore.
E queste situazioni poi vengono portate avanti negli anni, andando a ricadere nelle relazioni che i figli avranno in futuro, a scuola, con i partner, gli amici e tutto il resto che pian piano verranno a conoscere crescendo.
Ora però mi rendo conto che potrei iniziare a partire con le dita, divagare, e vomitare sulla tastiera tutto l’odio ed il rancore che provo per questi soggetti, perché veramente sono schifato ed infuriato nel vedere persone soffrire senza far nulla per migliorare le situazioni.
E l’unica alternativa a questa sofferenza, è smetterla di sentirsi in colpa, di sentirsi in dovere di aiutare…. Ma chi cazzo vuoi aiutare? Persone che non fanno altro che buttarti merda addosso e rovinarti la vita? Solo perché ogni tanto ti sganciano qualche soldo?
Non ne vale la pena, c’è da prendere e mandarli a fare in culo, andarsene da quelle situazioni che vi legano a queste persone, tagliare i ponti (almeno per un po’) tanto non cambieranno mai, e se continuate così, diventerete una loro fotocopia.
Ps: se ve lo state chiedendo, non parlo dei Miei genitori, anche se su di loro ne avrei da raccontare, per fortuna, niente di quanto scritto sopra appartiene a Loro.
Il Ribelle Conformista